Episodi tratti dalla vita del Servo di Dio Mons.Pio Alberto Del Corona

La S.Messa di Mons.Pio

Mons.Pio si preparava alla S.Messa con due ore di preghiera: dalle 4 alle 6 della mattina.
In quelle ore nessuno doveva bussare alla sua porta, nessuno doveva parlargli, anche se si fosse trattato delle cose più importanti.
Egli saliva all'Altare come salisse al Calvario, e, per quanto fosse disinvolto nella lettura dell'Epistola e del Vangelo, dall'Offertorio alla Comunione, non era più padrone di sé ed entrava in intima comunicazione colla Vittima Santa, con Gesù stesso.
Allora il suo volto si infiammava, i suoi occhi si imperlavano di lacrime, un sudore copioso lo bagnava letteralmente, si scuoteva e tremava nella persona.
A chi gli domandava una volta il perché di quel tremito convulso, egli ingenuamente rispose che in quei momenti sentiva di accostare le labbra al Costato del Salvatore e si inebriava di quel sangue che brucia l'anima.
Mons.Pio alimentava il suo amore eucaristico con frequentissime visite a Gesù presente nel Sacramento dell’altare.
Per accrescere la sua devozione, si immaginava un cerchio di luce intorno al Ciborio, una corona d'angeli, l'umanità di Gesù che dalle piaghe mandava raggi, che apparivano a lui come cinque soli, cinque fonti di grazia, cinque rose vermiglie.

I confratelli di S.Domenico di Fiesole avevano trasformato una stanza del Convento in cappella, in modo che Mons.Pio, durante il ritiro fiesolano degli ultimi anni, non dovesse affaticarsi per per raggiungere la chiesa.

La chiesa del Monastero ha subìto nel corso degli anni
diverse modifiche;qui la vediamo come era alle origini

Chi crede e chi non crede alla Provvidenza

 La fede di Mons.Pio rifulse in vari episodi accaduti durante la costruzione dell’Asilo, il Monastero di via Bolognese. Ponendo tutta la sua fiducia nella Provvidenza, le iniziali 50 lire poste da lui sull’altare di una provvisoria cappella si moltiplicarono in 170.000.

Un giorno il capo degli operai, constatata la mancanza di soldi, suggerì di sospendere momentaneamente la costruzione della chiesa; Mons.Del Corona gli rispose scrivendo: “Se non ha fede, si ritiri. Non si frappongano ostacoli all’opera di Dio. La banca di Dio non fallisce. Si tiri avanti e si costruisca anche la chiesa […] non si faccia a Dio il torto di non poter pagare la sua dimora”.

E presto arrivarono i soldi per pagare i lavori.

Un’altra volta una persona che aveva prestato 30.000 lire per i lavori dell’Asilo, richiese i soldi prima del tempo; Mons.Pio, fidando nella Provvidenza, non si scompose e fissò una data vicina per la restituzione del prestito.
L’avvocato incaricato della riscossione, invece, conoscendo la povertà del vescovo, commentò: “Monsignore sta nelle nuvole! Non ci posso credere!”. E Mons.Pio tacque; ma nel giorno stabilito i soldi c’erano e furono affidati all’ingegner Romei, che, consegnandoli all’incredulo avvocato, disse: “Monsignore sta nelle nuvole; e, come vede, appunto dalle nuvole gli sono calati questi danari!”.


Mons.Pio e Sant’Antonino

L’oggetto più prezioso tenuto da Mons. Pio A. Del Corona era un bell’anello episcopale con topazio; questo oggetto aveva un valore affettivo ancora più grande, perché gli era stato donato dal Papa Pio IX nel 1874.

Mons. Pio era presente, quando nel 1897 fu aperta a Firenze, nella Basilica di San Marco, l’urna di Sant’Antonino (1389-1459), Arcivescovo della città; Mons. Del Corona, chinatosi sul corpo ben conservato del Santo Domenicano e presa con delicatezza la sua mano destra, gli tolse il povero anello che aveva e lo sostituì con quello ricevuto dal Beato Pio IX; altrettanto fece con i pastorali, scambiando il suo ricco pastorale con quello disadorno di  S. Antonino: un semplice bastone di legno dorato, oggi esposto nella cripta del Monastero delle sue Suore, dove si trovano anche gli altri oggetti usati dal Servo di Dio Pio Alberto.

Purtroppo negli anni ’70 l’urna con le spoglie del Santo Vescovo Antonino è stata profanata da ladri sacrileghi e gli oggetti donati da Mons. Del Corona sono stati rubati.


Il pastorale di S.Antonino e alcuni paramenti liturgici indossati da Mons.Pio

Basilica di S.Marco (FI): nella Cappella Salviati si può ammirare l’urna che custodisce il corpo intatto di S.Antonino

Elemosine sempre e per tutti

Le domande arrivavano a Mons.Del Corona da ogni parte, poiché si sapeva che in un modo o in un altro sarebbero state esaudite.

Le elemosine delle Messe non stavano neppure un giorno nel suo cassetto; tutto era per i poveri, per gli Istituti e per le Case Religiose.

Questo suo amore per i poveri era veramente eroico: nessuno doveva esser rimandato a mani vuote, nessun consiglio di prudenza umana poteva indurlo a moderare le elemosine.

Quando aveva dato l'ultimo spicciolo, era veramente felice.

Appena fatto Vescovo, regalò la sua catena d'oro ad una povera donna che non aveva come pagare l’affitto di casa, e bisognò acqui­stargliene una d'argento dorato.

Un'altra volta vendette l'anello episcopale, e un signore della Diocesi gliene regalò un secondo con una semplice pietra verde, sulla quale fece incidere queste parole:

Spes mea in Deo est (la mia speranza è in Dio).

In altra circostanza un povero, essendo scalzo e trovato Monsignore per la via mentre tornava al palazzo, gli chiese in elemosina un paio di scarpe.

Il Vescovo, pur così dignitoso, si tolse di piedi quelle che aveva e gliele diede, tornando a casa con le sole calze.

Le chiese e i monasteri poveri godevano in modo particolare della carità del Servo di Dio.

Per le sue Nozze d'argento episcopali che celebrò in S. Miniato il 18 Gennaio del 1900, tutta la diocesi si mosse, Mons.Pio ricevette regali magnifici e preziosi che furono esposti in tre stanze dell’episcopio.

Ma in breve tempo tutto sparì: spedito a chiese e monasteri bisognosi.

 

Il “sacramento” della povertà

Durante la sua vita da religioso sempre si accontentò di quello che passava il Convento, l’unica sua passione erano i libri e, quando gliene occorreva qualcuno che non poteva reperire in Convento, si raccomandava alla carità degli amici.

Prima di mangiare, in refettorio diceva a sé stesso: “Miserabile, non sei degno del pane che mangi. Vi ringrazio, o Dio, del cibo che mi avete preparato nella vostra dolce misericordia”.

E per le spese della sua consacrazione a vescovo dovette domandare aiuto a destra e a sinistra, perché erano spese sproporzionate per le sue tasche vuote.

Da vescovo mantenne le sue abitudini povere e il suo amore per la povertà, tanto che per tutto quello che era strettamente necessario, doveva ricorrere alla bontà dei fedeli e delle suore: “Ringrazio Dio della povertà. In certi giorni non ho un centesimo e in quei giorni mi sento meglio; ai denari io non ci penso, bisogna imitare Gesù che fu povero e fuggiasco sulla terra, e fece della povertà un sacramento”. 


Il rifiuto  della porpora cardinalizia

Il 17 aprile 1899 Mons. Del Corona era a Roma, quando arrivò la notizia della morte del Cardinale Agostino Bausa, Arcivescovo di Firenze e suo confratello domenicano.

Ricevuto in Udienza privata dal Papa Leone XIII, questi gli prospettò la volontà di nominarlo Arcivescovo e poi Cardinale di Firenze, continuando così l’opera santamente intrapresa per Firenze da altri due domenicani: Sant’Antonino e Bausa.

Mons. Pio, sentendo il peso dei ventiquattro anni già spesi nell’episcopato, vedendo in sé stesso solamente deficienze e debolezze, rispose al Pontefice: “Ci vuole un gigante per quella babilonia! Ogni altro che non sia un gigante, come il Cardinale Bausa, ci fa naufragio. Guai a chi ci si trova dentro!”.

Giunta, in seguito, la notizia della nomina alla cattedra fiorentina del Vescovo di Pontremoli, Alfonso M. Mistrangelo, Mons. Del Corona spiegò ai seminaristi del Seminario della Calza: “Voi avete dato retta al vostro cuore [riferendosi al fatto che avrebbero voluto lui come Arcivescovo di Firenze], mentre io ho dovuto pensare alle povere mie spalle”. 

Già in precedenza, all’età di 33 anni, Mons.Pio aveva rifiutato un importante incarico perché se ne reputava indegno: eletto il 10 maggio 1870 Vicario Generale della Congregazione domenicana di S.Marco, aveva supplicato il Maestro Generale dell’Ordine affinché lo sollevasse dall’incarico, perché privo di “energia di carattere, prestigio e influenza”, qualità indispensabili per ricoprire degnamente il compito di Vicario Generale.


Il cardinale Agostino Bausa arcivescovo di Firenze

 Mons.Pio e il nuovo arcivescovo Mistrangelo
al seminario di Firenze


Un vescovo che ha nostalgia dell’obbedienza

Lasciato il governo della Diocesi di S.Miniato e ritiratosi nel Convento di S.Domenico di Fiesole, Mons.Pio poté realizzare l’aspirazione della sua gioventù, quella di obbedire sempre, aspirazione che aveva dovuto abbandonare per esercitare il suo compito di vescovo.

Il Padre Priore di S.Domenico ne approfittò, comandando al Vescovo di limitare le austerità e di astenersi da alcune pratiche faticose della vita conventuale.

Il frate converso che lo assisteva gli diceva: “Il Padre Priore non vuole” e Mons.Pio obbediva diligentemente; obbediva anche più del necessario, quando riteneva che il dire o l’agire del fratello converso fosse conforme alla volontà del Priore. Avrebbe voluto lui stesso tenere in ordine la camera, ma il converso, su disposizione del Priore, gli ordinava di lasciarsi servire. 

Veduta del Convento di S.Domenico di Fiesole agli inizi del 900



Una nottata insolita

 Una sera, durante una visita pastorale, si era attardato al confessionale; decise di tornare comunque in Episcopio e vi giunse col suo Segretario a notte inoltrata. I due servi, che lo avevano atteso per qualche tempo, dopo l’ora consueta, credendo che ormai non tornasse più, se ne andarono tranquillamente al riposo. Il Segretario bussò più volte alla porta, ma inutilmente. Cessò di bussare a richiesta dello stesso Mons.Pio, che, senza turbarsi, alla luce della luna, si mise a passeggiare nel prato davanti al palazzo;  raccontò poi che in quel tempo aveva fatto una meditazione sulle parole della parabola delle vergini prudenti e delle stolte (Matteo 25,1-13), che picchiando alla porta dello Sposo, dicevano: “Signore, Signore, aprici!”. Che sarebbe di me, pensava, se al punto di morte udissi dal Giudice la terribile parola: “Non vi conosco”? Continuò così per qualche ora, finché, alle due, il Segretario pensò di andare a destare il vicino campanaro, che offrì loro una povera panca nell’ingresso della sua casa. Lì restarono fino alle quattro, quando il cameriere, chiamato di nuovo, riuscì a sentire ed aprì. Il Vescovo non disse parola alcuna di rimprovero; ed entrato in palazzo, si recò subito a celebrare la Santa Messa. I servi non ebbero da lui che una benedizione.

Panoramica della città di S.Miniato (PI) agli inizi del 900

 

Una conversione lungamente attesa

Giuseppe Levantini-Pieroni, coetaneo di Mons.Pio, compagno di studi alla scuola dei Barnabiti, aveva gareggiato con lui in bontà d’animo e ingegno; ma, avendo perduta la madre all’età di dieci anni e non sostenuto dal padre, si era allontanato dalla fede, dalla Chiesa ed era diventato – come diremmo oggi – un laicista

Nel corso della vita si era incontrato più volte con Mons.Pio, entrando in discussioni religiose; in una di queste occasioni, dopo aver replicato alle sue  obiezioni, il Vescovo, mostrando di tirargli la lunga barba, gli disse: “Per confutare la nostra fede ci vogliono altre barbe!”.

Negli ultimi anni Levantini-Pieroni si ammalò gravemente, persistendo tuttavia nel suo rifiuto dei preti e dei conforti religiosi; la moglie, molto religiosa, gli ricordò il suo vecchio amico Alberto [Mons.Pio Alberto], e allora il marito cedette in nome dell’antica amicizia.

Chiamarono Mons.Pio, che giunse presto e si trattenne da solo con lui; all’uscita il Vescovo dichiarò: “Ho ottenuto più di quello che avrei potuto sperare”.

E l’infermo confidò al nipote: “Sono tranquillo, contentissimo. Un pietrone sul passato”.

 

Bestemmie e bestemmiatori

Una mattina, mentre si recava al Seminario di Firenze per insegnare, udì alcuni giovani che bestemmiavano; il Padre Pio Alberto si avvicinò e, con maniera cortese e insieme decisa, domandò loro se avrebbero osato scagliare in faccia al Re uno solo di quegli epiteti che essi davano con audacia al Signore dei Signori.

I giovani ammutolirono e il Padre proseguì il suo cammino.

Dopo alcuni mesi fu chiamato a confessare un giovane moribondo che chiedeva proprio di lui: era uno di quei giovani che, colpito da una malattia incurabile, si era pentito e aveva proclamato che non avrebbe avuto pace finché non avesse veduto vicino al suo letto il frate che lo aveva rimproverato.