Cosa hanno detto su di lui i vari testimoni durante il processo di Beatificazione


Fama di Santità in vita
La fama di santità del Servo di Dio si sviluppò con rapidità già durante la vita a motivo della sua condotta veramente esemplare e tale da renderlo meritevole di essere additato a modello di condotta per il popolo cristiano.

Questa affermazione trova molteplici riscontri nelle deposizioni rilasciate dai testimoni nel corso dell’Inchiesta Diocesana.

Suor Filomena Venturi, teste n. 3, rintraccia l’origine di tale fama nella convinzione, diffusa tra i fedeli, che Monsignor Del Corona vivesse una vita pia e santa: «Il Servo di Dio anche in vita godeva fama di esser uomo di pietà e di santità e come tale riscuoteva la venerazione di tutti».

Suor Maria Paulina Pagni, teste n. 2, riferisce che la fama di santità del Servo di Dio era comunemente molto diffusa già in vita: «La fama di santità del Servo di Dio era comune durante la sua vita».

Monsignor Del Corona godette di grande stima presso i confratelli nell’Episcopato e ciò trova ampia conferma nel racconto di Suor Maria Rosaria D’Autilio, teste n. 4, la quale dichiara: «Non sono persona da potere giudicare dell’opera episcopale del Servo di Dio, so che godeva la massima stima presso i colleghi nell’episcopato e di fatto anche Mons. Ferdinando Copponi, Arcivescovo di Pisa, quando apprese da me che dovevo entrare in questo Monastero da principio cercò di persuadermi a scegliere un convento della Diocesi di Pisa, ma poi esclamò: “Vai pure a S. Miniato ci troverai un Vescovo dotto e santo”».

L’esercizio eroico delle virtù cristiane e la perfetta aderenza al Vangelo fecero del Servo di Dio un Vescovo considerato già in vita santo e virtuoso.

Ecco cosa riferisce al riguardo Don Giuseppe Palagini, teste n. 7:«Il Servo di Dio aveva fama in vita di persona virtuosa e santa, questa fama non è andata diminuendo neppure dopo la sua morte. Ed anch’io non posso fare a meno di riconoscere che egli fosse persona veramente virtuosa; la Chiesa giudicherà se è degno degli onori degli altari».

Don Paolo Bartolini, teste n. 11, definisce uomo virtuosissimo Monsignor Del Corona e in ciò ritrova la ragione della sua fama di santità, già esistente in vita: «Il Servo di Dio in vita era ritenuto per uomo virtuosissimo».

Similmente si esprime Don Emidio Tognozzi, teste n. 10, il quale afferma che il Servo di Dio era considerato da tutti un’anima eletta e cara al Signore: «Il Servo di Dio in vita godeva fama di anima eletta e cara al Signore. Questa fama era sorta per le virtù di lui». Il Servo di Dio era dunque comunemente reputato un Vescovo santo.

Don Francesco Maria Galli Angelini, teste n. 8, afferma a tal riguardo: «Ho sentito sempre dire che quando il Servo di Dio divenne coadiutore del Vescovo di S. Miniato incontrò subito la simpatia generale per il suo sembiante e per il suo contegno: che in seguito con la sua parola si conquistò la stima della popolazione: ed infine questa simpatia e questa stima si convertirono in venerazione, tanto che era comunemente reputato per un santo».

La fama di santità del Servo di Dio si diffuse in modo rapido in tutta la Diocesi di San Miniato e, più in generale, nei luoghi ove egli era conosciuto. La sua condotta virtuosa e integerrima fu di esempio e sprone per molti cristiani.


A conferma di quanto appena affermato riportiamo la deposizione di Luigia Pini, teste n. 13: «Mentre il Servo di Dio era tuttora in vita godeva fama di santità per le sue virtù e per la sua vita intemerata, e questa fama è andata aumen­tando in Diocesi e in quei luoghi ove egli era conosciuto».

Similmente si è espresso anche Giuseppe Corri, teste n. 14, il quale afferma: «Come ho già detto più sopra, mentre il Servo di Dio era in vita godeva fama di santità a motivo del suo tenore di vita e delle sue virtù».

Riportiamo in conclusione la testimonianza di Don Vittorio Monti, teste n. 1, il quale conferma autorevolmente le attestazioni degli altri testimoni: «Il Servo di Dio tanto in vita che dopo morte, comunemente ha goduto fama di santità per la sua vita di perfezione conforme al Vangelo».

Fama di Santità in morte
Alla morte del Servo di Dio fu pressoché unanime la convinzione che fosse spirato un autentico uomo del Signore. In conseguenza di ciò, i suoi funerali furono particolarmente partecipati e giunse, per pren­dervi parte, una moltitudine di persone di differente condizione e appar­tenenti a diversi ceti sociali.

Don Giuseppe Palagini, teste n. 7, era pre­sente alla cerimonia e afferma al riguardo quanto segue: «Il cadavere del Servo di Dio fu seppellito nel cimitero di Soffiano presso Firenze, fu poi trasportato e deposto nella Cripta della cappella delle sue suore alla Pietra. A questo trasporto fui presente anch’io. Vi notai molte ed importanti persone del laicato e del ceto ecclesiastico». Immediatamente dopo la morte del Servo di Dio, la sua salma venne esposta nella Chiesa del Convento dello Spirito Santo alla Pietra.

Padre Innocenzo Marini, teste n. 21, ricorda il largo e devoto concorso di fedeli che spontaneamente si recarono nella chiesetta per rendere omaggio al feretro: «Il cadavere del Servo di Dio fu esposto nella Chiesetta del Convento dello Spirito Santo alla Pietra. Fu immediato, largo e devoto il concorso dei fedeli alla visita della salma. Vi furono di ogni condizione e molti del Clero secolare e regolare; e molte persone distinte per cultura e per censo. Il funerale fu fatto nella stessa Chiesa secondo il rito domenicano. Niente fu fatto per richiamare le persone, ma il concorso degli ammiratori e devoti fu spontaneo pienamente». Tra quanti si recarono ad omaggiare la salma di Monsignor Del Corona vanno annoverati molti Vescovi illustri; essi, unitamente agli altri fedeli, erano desiderosi di toccare quello che consideravano un santo e di avere una sua reliquia.


Ecco cosa riferisce al riguardo Suor Maria Albertina Tioli, teste n. 23: «Dopo la morte la salma del Servo di Dio, rivestita delle vesti dei Vescovi Domenicani, fu portata in cappella delle Suore ed ivi rimase espo­sta per tre giorni. Le visite di laici e sacerdoti furono moltissime. Vennero a visitarlo anche alcuni Vescovi. Molti gli baciavano le mani ed avrebbero voluto prendere qualche reliquia di lui. Molti anche accostavano a quella salma i loro oggetti religiosi, come corone e medaglie, per averne la bene­dizione. I funerali ufficiali e solenni furono fatti in S. Marco; ed anche a quelli intervenne molta gente; tutti dicevano: «È morto un Santo!». Que­sto concorso fu quanto mai spontaneo [...] Alla traslazione della salma, insieme a molto popolo, intervennero anche distinti personaggi del Clero e del laicato».

Analogamente si è espressa anche Suor Maria Teresa Romei, teste n. 24, la quale ha dichiarato quanto segue: «Molte richieste di reliquie del Servo di Dio abbiamo avute, e anche nei giorni che la salma di Lui rimase esposta, subito dopo la morte, molti visitatori accostavano corone, medaglie, ecc. alla mano dell’estinto come per averne una benedizione».

Angiolo Silvio Rinaldi, teste n. 9, conferma che durante la trasla­zione del corpo del Servo di Dio dal Cimitero di Soffiano alla Cappella dell’Asilo della Pietra presso Firenze si registrò la presenza di molta gente illustre: «Alla traslazione della salma del Servo di Dio presi parte anch’io. Notai presenti molte rispettabili persone del laicato e del ceto ecclesiastico».


Don Emidio Tognozzi, teste n. 10, non potè partecipare ai funerali in questione. Egli però intervenne alla cerimonia di traslazione e sotto­linea come quest’ultima sia risultata particolarmente commovente:
«Ricordo che, impedito, non potei assistere ai funerali del Servo di Dio. Appresi però che riuscirono molto solenni. Intervenni alla traslazione della salma di lui dal cimitero di Soffiano alla Cappella dell’Asilo della Pie­tra presso Firenze. Notai eccellenti persone del laicato e del clero.
Questa cerimonia fu veramente commovente. La detta traslazione avvenne mi pare nel 1921, e la salma del Servo di Dio fu deposta nella cripta già pre­parata a questo scopo».
La copiosa partecipazione ai funerali e alla traslazione della salma di Monsignor Del Corona sono testimonianza dell’affetto e della devozione nutrita dalla gente.

Questo è quanto sostenuto da Monsignor Gioacchino Rosati, teste n. 20: «So che la venerata salma del Servo di Dio fu tumulata nel Cimitero della Misericordia di Firenze e di lì fu trasferita, con plebiscito di devo­zione e di affetto, nella Cripta della Chiesa dell’Asilo della Pietra in Firenze, con intervento di sacerdoti anche della mia Diocesi». Durante le esequie l’opinione diffusa fra la gente era che si stesse commemorando un uomo il quale aveva certamente raggiunto già il Paradiso.

Don Francesco Maria Galli Angelini, teste n. 8, mette in luce come tale convinzione sia stata fatta propria anche dal successore del Servo di Dio alla cattedra episcopale di San Miniato, Monsignor Falcini: «Questo posso dire che Mons. Falcini di ritorno dai funerali uscì in queste esclamazioni: “Se non è andato in Paradiso lui, non ci va nessuno”. E quali fossero i suoi sentimenti circa le virtù del Servo di Dio si possono leggere nell’elogio funebre dato alle stampe».

Suor Maria Enrica Bolla, teste n. 22, definisce i funerali di Monsi­gnor Del Corona un vero trionfo. Ella sottolinea inoltre che in occasione della morte del Servo di Dio giunsero numerose lettere e svariati tele­grammi; inoltre, durante l’esposizione del cadavere, molti non esitarono a definirlo un santo: «Dopo la morte il Servo di Dio ebbe suffragi nella nostra Chiesa e poi solenni funerali in S. Marco.
Visitarono la sua salma, finché rimase espo­sta presso di noi, moltissima persone di ogni ceto e di ogni condizione. Mi fece impressione il Marchese Tommaso Rosselli Del Turco che si intrat­tenne per molto tempo, in ginocchio presso la salma.
Molti visitatori appressavano alla salma, come per averne la benedizione, medaglie, corone ed altri oggetti religiosi. La spoglia mortale fu tumulata nel Cam­posanto della Misericordia di Firenze, a Soffiano.
Nessuna propaganda fu fatta per attirare gente. Chi venne fu spinto per l’affetto e per la venera­zione che nutriva per il caro estinto. Da tutte le parti d’Italia giunsero let­tere e telegrammi di condoglianze.

Nell’ottobre del 1925 avvenne la tra­slazione della salma del Servo di Dio dal Camposanto della Misericordia alla Cripta, eretta per lui, con le elemosine dei suoi ammiratori, sotto la Chiesa del nostro Convento, come Egli più volte aveva mostrato desiderio, giacché parlando del suo sepolcro aveva detto: «Desidero la sepoltura sotto i piedi delle mie figlie».

La traslazione riuscì solenne; fu un vero trionfo. Sopra la tomba del Servo di Dio, nella Cripta cui ho accennato di sopra, una bella epigrafe dettata da Mons. Lodovico Ferretti, ricorda il caro estinto. Durante l’esposizione del cadavere, durante i funerali e la trasla­zione del Servo di Dio, sebbene molti l’acclamassero un Santo, non mi consta che sia accaduto niente di meraviglioso».

A conferma di tali affermazioni, Suor Maria Luisa Parenti, teste n. 25, riferisce che parecchie persone, tra cui lei stessa, cercarono in quel frangente di impossessarsi delle reliquie del Servo di Dio: «Dopo la morte del Servo di Dio la sua salma fu esposta nella Cap­pella pubblica della nostra Casa religiosa, e vi rimase per tre giorni, visi­tata continuamente da molto popolo e da non poche cospicue persone.
Tutte dicevamo che era morto un Santo e tutti facevamo a gara per avere qualche reliquia di lui e per avvicinare alle sue mani ed al suo viso oggetti religiosi come per averne la benedizione.
Tutto ciò avvenne spontanea­mente da parte dei visitatori senza inviti e suggerimenti.

I funerali solenni furono celebrati nella Chiesa di S. Marco e dopo questi la salma del Servo di Dio fu inumata nel Cimitero di Soffiano accanto al sepolcro del Cardi­nal Agostino Bausa»

Fama di Santità dopo la morte
Con la morte del Servo di Dio la sua fama di santità, già presente in vita ed al momento del trapasso, non cessò di espandersi e diffon­dersi. Quanto detto trova conferma innanzitutto nelle molteplici depo­sizioni raccolte in sede processuale. Citiamo alcune tra le più significa­tive.

Riportiamo innanzitutto quella di Giuseppe Corri, teste n. 14, il quale ha affermato: «Questa fama dopo morte non si è per niente affievolita, ma è andata piuttosto aumentando». Lo stesso viene evidenziato da Don Filippo Bianchi, teste n. 6, il quale si esprime nella seguente maniera: «La fama di santità del Servo di Dio che esisteva durante la sua vita è continuata dopo la sua morte presso tutte le persone che lo potettero conoscere ed avvicinare».



Anche Suor Michelina Spanò, teste n. 16, si mostra concorde con quanto affermato e sottolinea come la fama di santità del Servo di Dio si sia diffusa tra la gente umile come fra le persona colte: «L’opinione circa la santità del Servo di Dio non si è affievolita dopo la sua morte; anzi si è mantenuta ed andata crescendo sia presso le per­sone del popolo, sia presso le persone colte». Il ricordo della condotta virtuosa di Monsignor Del Corona conti­nua dunque a sussistere nella memoria di chi lo conobbe. Il suo sepolcro è divenuto molto presto luogo di grande venerazione.

Don Giuseppe Palagini, teste n. 7, afferma al riguardo: «Ho avuto occasione di ritornare un’altra volta sulla tomba del Servo di Dio, ed ho potuto notare come il sepolcro di lui sia tanto in venerazione [...] Questa fama non è andata diminuendo neppure dopo la sua morte. Ed anch’io non posso fare a meno di riconoscere che egli fosse persona veramente virtuosa».

La presenza di persone in preghiera presso la tomba del Servo di Dio trova conferma anche nella deposizione di Don Emidio Tognozzi, teste n. 10, il quale dichiara: «Ho notato che, sebbene non molto numerose, pure la tomba del Servo di Dio viene visitata da pie persone». Peraltro, che le persone affluenti al sepolcro non siano molto nume­rose è smentito non solo dalle sopra citate affermazioni di Don Giu­seppe Palagini ma anche dalle dichiarazioni di altri testi.

Citiamo innan­zitutto quella di Luigia Pini, teste n. 13: «Come altre persone sanminiatesi anch’io ho sentito il dovere di visi­tare la tomba del Servo di Dio. So che viene visitata da quanti hanno venera­zione per lui».

Quanto detto viene confermato anche da Livio Carranza, teste n. 17, il quale afferma: «Il sepolcro del Servo di Dio è visitato dai fedeli ed è tenuto con molta proprietà».

Don Francesco Maria Galli Angelini, teste n 8, riferisce che emi­nenti personalità del clero e del laicato si recano spesso presso il sepol­cro di Monsignor Del Corona per pregare: «Non mi sono mai recato a visitare la tomba del Servo di Dio, ma so che essa è meta di frequente e devoto concorso di ammiratori, tra i quali sono da annoverarsi cospicui personaggi del clero e del laicato». Il teste sopra citato, nel seguito della deposizione, aggiunge inoltre che segno evidente della sussistenza della fama di santità del Servo di Dio è la costante richiesta di immagini ed oggetti a lui appartenuti. Egli stesso ne conserva qualcuno e lo utilizza nei momenti di difficoltà: «So che la fama di santità del Servo di Dio è andata sempre cre­scendo; ed i segni di questa fama sono la richiesta delle sue immagini, dioggetti a lui appartenenti e che vengono applicati per impetrare grazie sia materiali che spirituali. Io sono in possesso di uno zucchetto violaceo e penna d’oca che teneva il Servo di Dio nel suo scrittoio. Io stesso nei dolori di capo mi sono imposto lo zucchetto con fede e ne ho sperimentata l’ef­ficacia».

Anche Piero Formichini, teste n. 15, riferisce che la stima e la vene­razione per il Servo di Dio non si sono affievolite dopo la morte; egli per primo lo considerava e continua a considerarlo un santo: «La mia stima e la mia venerazione verso il Servo di Dio non è venuta a mancare dopo la sua morte, e lo ritengo un santo».

Oltre ai citati contributi testimoniali, ci sono molteplici, ulteriori fonti che ci confermano la sussistenza della fama di santità del Servo di Dio dopo la morte e il suo mantenersi nel corso degli anni. Ciò è testi­moniato innanzitutto dalle molteplici opere venute in essere subito dopo la sua morte, con la volontà di perpetuarne la memoria e l’esempio. Ci riferiamo in primo luogo a quella data alle stampe dal Beato Gia­cinto Cormier nel 1913, un solo anno dopo la dipartita dall’esilio terreno.
Nella dedica di tale opera, fatta al Sommo Pontefice Pio X, l’au­tore definì il Servo di Dio un uomo che aveva consacrato tutta la propria esistenza al bene delle anime, operando sempre in conformità con le indicazioni della Sede Apostolica, in fedele attuazione del programma posto dal Santo Padre alla base del proprio pontificato: «Omnia instau­rare in Christo».


Parlando poi della genesi di tale opera, il Beato Cormier afferma di essersi rifatto alla sintesi biografica composta da Padre Ludovico Fer­retti; anche tale circostanza è molto importante ai nostri fini perché dimostra che il Ferretti aveva redatto uno scritto dedicato al Servo di Dio ancor prima del Cormier, quindi davvero in prossimità del decesso.

Lo stesso Padre Ludovico Ferretti diede poi alle stampe, nel 1927, una biografia di ampio respiro sul Servo di Dio di cui ci siamo largamente serviti per la stesura della Biografia documentata contenuta in altra parte del presente lavoro.

Circa un anno prima, cioè il 15 agosto 1926, era stata posta una lapide sulla casa natale di Pio Del Corona e alla cerimonia in questione aveva partecipato una gran folla, a testimonianza della grande consi­derazione in cui egli era tenuto. L’inaugurazione di tale lapide avvenne il 26 settembre successivo. Secondo quanto attestano le cronache del­l’epoca «tutto il quartiere “Venezia”» [quello in cui aveva visto la luce il Servo di Dio] «era in festa e il Viale Caprera, dove era situata la casa, come attesta anche una rara fotografia, era gremito di popolo». In tale occasione tenne un discorso il Servo di Dio Padre Pio Lorgna, alla pre­senza dell’allora Vescovo di Livorno, Monsignor Giovanni Piccioni, del Vescovo di Pistoia e Prato, Monsignor Gabriele Vettori, e delle auto­rità civili e militari.

L’anno seguente l’Amministrazione Comunale volle tributare al Servo di Dio un altro omaggio, intitolandogli una strada cittadina, vale a dire l’ultimo tratto del Corso Amedeo.

Circa dieci anni dopo la città di Livorno celebrò ufficialmente Monsignor Del Corona, in occasione del 1° centenario della sua nascita. Oratore designato fu il Canonico Dante Dicomani (che avrebbe poi anche testimoniato nel corso del Processo Informativo). Costui nell’Aula Magna dell’Istituto Tecnico, in data 11 maggio 1937, ne tratteggiò la figura dinanzi ad autorità e popolo, che le cronache definiscono «vibranti di entusiasmo».

Lo stesso Dicomani sempre nel 1937 diede alle stampe un’opera biografica dedicata al Servo di Dio. Sulla base di quanto consta dalle fonti a nostra disposizione, anche in quest’occasione i livornesi risposero largamente all’appello loro lanciato e fra essi numerosi furono gli abitanti del quartiere “Venezia”. Tenne l’orazione ufficiale il suddetto Padre Lorgna e dalla chiesa in corteo le autorità e il popolo, con a capo il Vescovo, Monsi­gnor Piccioni, e alla presenza di numerose personalità, andarono a deporre una corona d’alloro sulla lapide della casa nativa.

Durante la breve cerimonia le campane della Chiesa di S. Ferdinando suonarono a festa e le varie centinaia di persone presenti, dopo aver applaudito a lungo gridarono “Viva Mons. Del Corona”, “Viva il Santo di Livorno”, intonando anche l’inno popolare “Evviva Maria” in ricordo della pre­senza di Mons. Pio nella città natale durante il Congresso Mariano.

Tra le invocazioni merita una particolare attenzione e considerazione quella con la quale il Servo di Dio veniva invocato come santo, prova evidente di una fama di santità convinta e molto diffusa tra la popo­lazione. Visto l’afflusso considerevole di fedeli alla tomba di Monsignor Del Corona, nel 1934 era stato istituito un apposito registro per raccogliere le firme dei visitatori.

Il 15 agosto 1942 ricorreva il trentesimo anniversario della morte del Servo di Dio. Il giorno successivo si svolse una celebrazione nella Chiesa di S. Caterina con una Giornata Eucaristica predicata da Monsignor Fau­stino Baldini, Vescovo di Massa Marittima, il quale «rievocò gli anni gio­vanili in cui ricevette l’abito clericale da Mons. Pio e di questi delineò l’o­perosità apostolica e le altezze speculative del suo pensiero; quindi parlò del Mistero Eucaristico con considerazioni ispirate dall’opera poderosa di Del Corona».

Risulta meritevole di attenzione il fatto che a queste cele­brazioni intervennero, prendendo anche la parola, molti presuli operanti in città diverse da Livorno. Questa è una riprova di come la fama di san­tità del Servo di Dio fosse molto diffusa anche al di fuori dei luoghi in cui egli visse ed esercitò durante la vita il proprio ministero pastorale.

Come risultato naturale e scontato di questo interesse e di questa ammirazione, ci fu l’apertura del Processo Informativo. Tale Processo si è svolto nella Diocesi di San Miniato, in 66 Sessioni, dal 12 dicembre 1941 al 9 giugno 1959; inoltre sono stati istruiti anche 2 Processi Rogatoriali nelle Diocesi di Livorno e di Roma. I testimoni ascoltati durante il Processo principale sono 35, di cui 33 “de visu” e 2 “de auditu a viden-tibus”.

Nel corso delle sessioni tenutesi davanti al Tribunale livornese, sono stati interrogati 4 testimoni, tutti “de visu”. Davanti al Tribunale ecclesiastico dell’Urbe si è proceduto all’interrogatorio di 6 testimoni, anch’essi tutti “de visu”.

Durante gli anni nei quali si stava svolgendo il processo non man­carono peraltro ulteriori manifestazioni di stima e di affetto da parte del popolo livornese al Servo di Dio. Nel 1951 diversi abitanti di tale città si fecero promotori di varie celebrazioni, intese ad esaltare la figura di Pio Alberto Del Corona, e, a tale scopo, costituirono un apposito Comitato. Apparvero inoltre diversi articoli sulla stampa cittadina, vennero diffusi i suoi scritti, ci furono alcune conferenze e fu organizzato un pellegrinaggio sulla tomba del Servo di Dio a Firenze.

Si decise di erigere un busto, affidato in esecu­zione allo scultore Cesare Tarrini che non potè terminarlo a causa delle sue precarie condizioni di salute. La morte del Presidente e di altri mem­bri del Comitato pose poi, almeno temporaneamente, un freno alla rea­lizzazione del progetto. Il 25 febbraio 1957, grazie all’interessamento dei Padri Domenicani, si ricostituì il Comitato, che elesse il nuovo Presidente nella persona dell’Avvocato Alberto Berti e fu portata a termine l’opera.

 Il 21 gennaio 1958, il Vescovo di Livorno, Monsignor Giovanni Pic­cioni, mostrò il proprio compiacimento per le onoranze che la città voleva tributare al proprio illustre concittadino e si espresse in termini estremamente significativi nei confronti del Servo di Dio, indicativi del­l’esistenza di una diffusa fama di santità riguardante lo stesso: «Per Mons. Del Corona, che vivente già godeva fama di santità non comune, eminente per studi Tomisti, elevata, ed efficace oratoria, ispirata pietà e zelo apostolico, l’esaltazione delle sue insigni doti e pregi è omag­gio doveroso dei fedeli livornesi, è pio e confortevole riconoscimento alle sublimi virtù di quel “Vescovo Angelico”».

In tale data si pronunciò anche l’Amministratore Apostolico della Diocesi di Livorno, che rievocò con accenti di eminente ammirazione la figura e l’operato del Servo di Dio: «Di Monsignor Pio Alberto Del Corona rimangono due titoli di glo­ria per i Suoi cittadini: Vescovo e Santo. Vescovo cioè maestro, guida e pastore del gregge cristiano nella vicina Diocesi di S. Miniato; assurto a tale dignità in età giovanissima e in condizioni assai ardue. Zelante e pio, cercatore delle anime, cui attendeva per lunghissime ore nel confessionale, condividendo il pianto degli erranti e le gioie dei convertiti, l’amarezza delle incomprensioni, l’ansia dei pastori. Il suo ministero episcopale lo impegna ad essere predicatore e scrittore, cioè annunciatore delle verità, ed egli lo è dovunque con slancio e fervore così da trascinare le folle».

Nel 1958 è stata pubblicata un’ulteriore opera riguardante il Servo di Dio, scritta da Giuseppe Bardi ed edita a cura dei laici domenicani. Il 28 giugno 1960 il Sant’Uffizio ha concesso il prescritto “Nihil Obstat” alla prosecuzione della Causa, mentre il 3 dicembre 1971 è stato emanato il Decretum super scriptis. C’è stata poi una certa stasi nella continuazione della Causa, dovuta alle difficoltà incontrate dalla Con­gregazione delle “Suore Domenicane dello Spirito Santo”, Attrice della Causa stessa.

Tuttavia, appena se ne è presentata la possibilità, si è pro­ceduto alla ripresa, in conformità alle prescrizioni della nuova legisla­zione canonica. Nominato il Tribunale e la Commissione Storica, si è svolta nella Diocesi di San Miniato l’Inchiesta Diocesana, istruita presso la Curia di San Miniato nell’agosto 2002.

Peraltro, anche negli anni precedenti, l’interesse e l’ammirazione per la figura di Monsignor Del Corona non erano affatto scemati. Basti ricordare, a titolo di esempio, la pubblicazione, avvenuta nell’anno accademico 1996-1997 di una tesi scritta dalla dottoressa Cinzia Martelli e discussa presso l'Istituto Supe­riore di Scienze Religiose "B. Niccolò Stenone" di Pisa.

In concomitanza con la celebrazione dell'Inchiesta Diocesana, si sono tenute molteplici iniziative, attestanti la perdurante fama di san­tità del Servo di Dio e anche la stampa ha dato spazio alla sua figura. Enumeriamo ora gli eventi maggiormente significativi ai nostri fini.

Il 31 gennaio 2001 apparve su "La Nazione" un articolo di Carlo Baroni, il quale nel dare l'annuncio della prossima tumulazione dei resti del Servo di Dio, ne tracciò un breve profilo e mise in luce il grande amore nutrito verso di lui da parte del popolo cristiano: «Fu amato a tal punto - gli furono attribuite anche tante gesta miracolose - che ancora oggi il suo ricordo è tutt'altro che sbiadito». L'11 febbraio successivo sul settimanale regionale di informazione "Toscana Oggi", Suor Ambrosina Osanna Tesi, Superiora Generale della Congregazione delle Suore Domenicane dello Spirito Santo, citò diversi pareri autorevoli a riprova della santità del fondatore:

Il Cardinal Ermenegildo Florit, Arcivescovo di Firenze e Presidente della Conferenza Episcopale Toscana, nell'agosto del 1962, così scrisse ricordando mons. Pio: "Il profumo delle virtù e la fama dei pregi singolari che ornarono l'umile figlio dei negozianti livornesi Del Corona, il disce­polo buono e fedele di San Domenico nel Convento di San Marco, il Pastore dotto e piissimo della Chiesa Sanminiatese rimangono vivi ancora oggi e la memoria è di grande venerazione e benedizione" [...] L'ali ora Padre Generale dell'Ordine Domenicano Cormier formulava il voto che la sua santa figura fosse conosciuta dagli ecclesiastici e da tutti i fedeli, spe­cie da quelli che si dedicano alle opere di zelo e carità. Resta, come scrisse un suo prete diocesano, "il suo ricordo, 0 ricordo di un grande Vescovo che ci appare ancora col suo pastorale in mano, simbolo di governo, di magistero, di correzione, pronto ad aprire i tesori della bontà divina con la chiave d'oro della sua carità"».

Nel marzo dello stesso anno 2001 apparve su "Trenta giorni" un altro articolo riguardante il Servo di Dio, scritto da Carlo Chelli. Egli diede ampio risalto alla presenza di numerose ed autorevoli personalità, nonché di molti fedeli, alla cerimonia di riesumazione dei resti di Mon­signor Del Corona, avvenuta il 18 febbraio precedente: «Un avvenimento davvero eccezionale la cerimonia della riesuma­zione dei resti mortali del livornese Pio Alberto Del Corona, vescovo di San Miniato ed arcivescovo di Sardica, prossimamente beatificato dalla Chiesa.

Alla cerimonia ha partecipato una folta delegazione della Diocesi livornese con Diego Coletti ed Alberto Ablondi, amato vescovo di Livorno per 34 anni ed il sindaco Gianfranco Lamberti. [...] Domenica 18 febbraio è stata effettuata la "ricognizione canonica" dei resti mortali, era stato lo stesso Papa Wojtila a darne notizia quando ricevette in udienza privata Suor Osanna Tesi. Immediatamente dopo il corpo è stato solennemente depo­sto nella tomba al centro della cripta del convento, restaurata dalle suore dell'ordine da lui fondato. Si è trattato di una cerimonia solenne, alla quale hanno partecipato, in mezzo ad una folla di fedeli, il cardinale José Martins Saraiva, il vescovo di S. Miniato Edoardo Ricci, con numerosi con­fratelli dell'intera Toscana, il vicepresidente della regione Toscana Angiolo Passaleva, i sindaci di tutti i comuni della diocesi di San Miniato con i gonfaloni, alcuni rappresentanti per la Provincia di Pisa e le autorità mili­tari della nostra regione.

Ai convenuti è stata impartita l'apostolica bene­dizione inviata da Giovanni Paolo II».

Nell'omelia pronunciata il 2 dicembre 2001, in occasione del pelle­grinaggio della Diocesi al Santuario della Madonna di Montenero, il Vescovo di Livorno, Monsignor Diego Coletti parlò del Servo di Dio con accenti tali da non far dubitare che lo considerasse un santo, avendolo definito «un grande Cristiano, un grande Religioso, Sacerdote Domeni­cano, un grande Vescovo». Conseguentemente auspicò che tale tesoro, nato nella città livornese, venisse, mediante l'elevazione agli onori degli altari, messo a disposizione della Chiesa intera. In tale occasione anche l'allora sindaco della città livornese, Gianfranco Limberti, si espresse in termini entusiastici sulla figura di Monsignor Del Corona, sottolineando il valore positivo del suo esempio per tutta la popolazione, compresi dunque i non credenti.

Il 20 gennaio 2002, in una celebrazione svoltasi nella Cattedrale di San Miniato, il Vescovo locale, Monsignor Edoardo Ricci, sottolineò il valore di sprone e di modello rappresentato per lui e per tutto il Popolo di Dio dall'esempio di un Vescovo santo, come il Servo di Dio, un «Pastore saggio, zelante, sempre anelante a perfezione di vita»